Pitagora e l’egitto

Ma a che serve il teorema di Pitagora?

(Una strana esperienza di un docente del Giunco)

Un docente del Giunco, al primo incontro con un giovane bocciato in seconda Media, constatava lacune gravi in matematica, geometria e scienze. Il ragazzo, interrogato in presenza dei genitori costernati (dichiaravano di non avere i mezzi per pagare lezioni private) ammetteva di non sapere bene le “tabelline”, di sbagliare moltiplicazioni e divisioni, di consegnare a scuola verifiche scritte largamente incomplete come i compiti a casa (quando li faceva!).

Non aveva idea di che cosa fosse il teorema di Pitagora, annunciato a scuola dal professore, ma visto da lui come un temibile spauracchio. Dichiarava inoltre di non svolgere attività: oratorio, biblioteca, sport o quant’altro.

Il quadro della situazione era evidente e sconcertante. Dopo le prime lezioni, faticose e quasi prive di risultati, il docente si aggrappò a Pitagora e disegnò in scala un triangolo rettangolo. Indicò i cateti, l’ipotenusa e l’angolo opposto, l’angolo retto. Segnò 3 centimetri sul cateto minore, 4 sul maggiore e 5 sull’ipotenusa. Chiamò i tre numeri una “terna pitagorica”. Poi chiese al giovane di disegnare i quadrati su ciascuno dei tre lati e di indicarne il valore dell’area in centimetri quadrati. Il ragazzo riuscì a calcolarli: 9, 16 e 25. Il docente gli fece sommare i quadrati dei due cateti ed ottenne 25.

Gli chiese allora che cosa avesse notato.

“…Ah! – rispose il ragazzo – La somma dei quadrati sui cateti è uguale al quadrato sull’ipotenusa! Adesso ho capito; ma perché il prof non l’ha spiegato? Era così facile!”. “Lo ha spiegato certamente – rispose il docente – ma eri forse concentrato nell’ascolto della campanella che avrebbe annunciato la libertà.

Ora però ti racconto una storia:

Pitagora è vissuto molto tempo dopo il papiro, del 3° millennio prima di Cristo, che spiegava ai muratori dell’antico Egitto come tracciare un angolo retto sul terreno per segnare il perimetro della base di un edificio o di una piramide. I muratori egizi utilizzavano un lungo listone diritto in legno: il metro non era ancora stato inventato. Univano i capi di una fune lunga 12 listoni, come il perimetro del triangolo (3+4+5 listoni), segnando le estremità di ciascuno dei tre lati. Legavano un picchetto esattamente su ogni segno e, tendendo la fune, piantavano i picchetti nel terreno, ottenendo un triangolo inevitabilmente rettangolo. L’antico papiro non spiegava perché ma affermava che l’angolo opposto all’ipotenusa era certamente retto.

“Se tra una settimana ritorni da me sapendo tutte le “tabelline” ed avendo fatto qualche decina di moltiplicazioni e di divisioni, senza calcolatrice, potremo cominciare le lezioni. L’anno scolastico è iniziato da due mesi e non abbiamo molto tempo.”

Negli incontri il giovane aveva tenuto gli occhi quasi sempre socchiusi e sfuggenti. Ora il racconto del papiro e la scoperta del teorema di Pitagora aveva reso i suoi occhi ben aperti e ridenti. Molto lentamente il ragazzo cominciò a meritare i primi voti sufficienti ma soprattutto sembrò acquistare man mano più sicurezza nell’esprimersi.

Terminata la lezione, il ragazzo esitò. All’uscita chiese: “Posso raccontare la storia del papiro al mio prof?”. “Perché no! – rispose il docente del Giunco – ma non esagerare dicendogli che hai imparato a decifrare i geroglifici!”.

“Non so che sono quei…gerocosi!”, e risero insieme.